Il numero esorbitante di ospiti nello stesso Centro creò molti e svariati problemi, primo fra tutti, come è notorio, l’insufficienza di vani baracche con le sue varie problematiche. I profughi erano coscienti che ciò non dipendeva dalla volontà solo delle autorità della Provincia, ma era un problema più dipendente da quelle nazionali. Quello che però non sopportavano, era il fatto che alcune problematiche, a loro vedere, erano direttamente dipendenti dalla volontà di chi gestiva i centri, e contro questi si sentiva autorizzata a montare delle proteste; ve ne furono diverse nei vari Centri raccolta.
Un primo episodio degno di nota si verificò al Centro di isolamento di Reggio Calabria Lazzaretto. La sera del 19 giugno 1952 verso le 20:30, finita la distribuzione pomeridiana degli indumenti ai profughi, rimasero nel magazzino per riordinarlo il Capo Centro Costarella, un dipendente, l’infermiera del campo e la domestica della Sorella Didone, che era da poco andata via. In questo frangente si presentò la profuga Vittoria Romeo, di Giuseppe, che, con fare e modi che poco hanno a che fare con l’educazione, chiese degli indumenti. A questa richiesta gli si rispose che era ormai tardi e che all’indomani sarebbe stata soddisfatta, ma lei controbatté con parole scorrettissime. A lei si associò il marito Leo Versace che, con parolacce, aggredì il capo centro, tentando anche di mettergli le mani addosso, e minacciò di incendiare il magazzino indumenti. Ai coniugi urlanti si aggregarono il cognato Giuseppe Marte e altri, minacciando gli addetti, e in particolare il responsabile del Centro Costarella, di stare attenti a non avvertire la forza pubblica. Per evitare inconvenienti spiacevoli il gruppo di addetti al campo si rinchiuse nel magazzino. Con notevole difficoltà riuscirono ad abbandonare quella sera il campo evitando maggiori e più spiacevoli conseguenze. La mattina dopo, gli addetti, con la Sorella Didone e il Capo Centro, vennero accolti dalla massa con insulti e minacce nonostante la presenza dei carabinieri.
L’episodio del magazzino diede occasione ai profughi di organizzare un’assemblea dei capi famiglia per affrontare una serie di problematiche inerenti alla conduzione del centro profughi da parte dei responsabili. La sintesi delle lamentele dei profughi venne fatta al Prefetto dal Segretario provinciale della Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori Antonio Bressi: il personale del Campo, specificatamente i signori Marano e Costarella, mantenevano un contegno poco rispettoso nei confronti dei profughi. Tra l’altro i citati impiegati presero l’abitudine, secondo quanto riferirono i profughi, di girare per il campo con vestiti succinti, a adoperare per le loro necessità il bagno delle donne ed esprimersi in un linguaggio poco pulito in presenza delle stesse. Inoltre, in una discussione in cui partecipavano tutti gli alluvionati, Costarella si espresse con parole poco dignitose all’indirizzo delle donne presenti, tanto che si dovette trattenere qualcuno dei presenti per evitargli il linciaggio.
Le lamentele andarono oltre il comportamento vero o presunto dei due incaricati, ma si spostarono sulla questione del vitto. Gli assistiti in quel centro si erano accorti che il peso del pane che ricevevano era inferiore a quello stabilito dalla tabella dietetica, ma soprattutto lamentavano il fatto che, al momento della consegna, non venisse pesato. Una prima protesta, per questo modo di agire, venne attuata rifiutandosi di accettare la razione di pane se non pesata.
Fecero presente anche il comportamento poco corretto tenuto dall’infermiera del Centro Rotolino che, secondo loro, non prestava le dovute attenzioni quando era richiesta la sua opera, anzi a volte non interveniva affatto. Il sindacalista concluse chiedendo l’intervento del Prefetto.
Il Prefetto immediatamente ordinò indagini, svolte dai carabinieri, volte ad accertare la veridicità delle asserzioni dei ricoverati nel Centro di Lazzaretto. Il risultato fu che l’indagine smontò punto per punto tutte le lamentele degli alluvionati. In sostanza, l’indagine, accertò che fra il personale addetto all’assistenza del Centro profughi, Costarella e Marano, e una parte degli alluvionati vi fossero dissensi piuttosto per antipatia che per veri problemi sostanziali. Si suggerì, stante tale incomunicabilità (al fine di evitare altri inconvenienti che avrebbero potuto verificarsi) di provvedere alla sostituzione dei due.
Un altro problema che afflisse continuamente gli alluvionati dei vari centri di raccolta fu la distribuzione dei viveri e, soprattutto, le continue lamentele sulla qualità degli stessi. Queste lamentele costrinsero il Capo centro a fare una relazione al Commissario Mannino, responsabile dell’Ufficio Postbellico e, dunque, responsabile di tutti i Centri profughi della Provincia. Chiriaco mise soprattutto in evidenza che le difficoltà erano sopravvenute dopo la venuta al Centro di Bova marina di più di 600 casalnovesi nell’agosto 1952 e la distribuzione dei viveri aveva subito un ritardo di qualche giorno.
Il problema era anche dovuto al fatto che il locale adibito alla distribuzione fosse angusto e fungesse allo stesso tempo da magazzino dei viveri, intralciando quindi il normale svolgimento di distribuzione e facendo perdere tempo. Il problema sarebbe stato eliminato se il responsabile della distribuzione avesse avuto a disposizione un altro locale e, quindi, la possibilità di distribuire contemporaneamente in due locali, in uno al signor Carmelo Tripodi e nell’altro alle serventi del Centro.
Erano particolarmente accaniti contro il responsabile della distribuzione Tripodi i profughi Giovanni Palmara di Rocco, Leone Talia fu Pascuale, Antonio e Giuseppe Priolo di Stefano e qualche altro. Accusavano Tripodi di distribuire generi alimentari di qualità scadente.
Articolo tratto da https://www.metisnews.it/