Ricerche storiche

I 100 anni della Grande Guerra a cura di Andrea Morabito

Il 2018 è l'anno cento dalla fine della I Guerra Mondiale. Comunemente nota come Grande Guerra; ed effettivamente grande lo fu, a cominciare dal conto finale delle vittime che furono quasi 10 milioni, con un numero esorbitante di mutilati. A cento anni di distanza dare una cifra esatta delle vittime, rimane difficile, infatti variano a seconda dei vari studi degli storici. Alcuni, fanno rientrare tra le vittime anche i civili e quelle causate dall'epidemia chiamata "spagnola" che tra il 1917 e il 1918 fece strage in tutta Europa; il numero in questo computo è semplicemente mostruoso circa 26 milioni. Ma se ci limitiamo a contabilizzare ( termine improprio, ma non so usare altro termine per rendere l'idea) solo le perdite militari, abbiamo la cifra detta sopra. A scendere nel particolare, considerando le perdite totali per schieramento, abbiamo gli Imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria, Impero Ottomano e altri alleati) 4 milioni, e 6 milioni gli eserciti dell'Intesa. Il paese che ebbe il più alto numero di caduti fu la Russia con oltre 2 milioni seguita dalla Germania con perdite quasi simili. L'Italia, ebbe un numero molto minore ma non per questo meno importante, si attesta a 651mila morti e oltre 1 milione di feriti; la battaglia più sanguinosa per le truppe italiane è stata l'undicesima battaglia dell'Isonzo del 1917 dove perirono oltre 166mila soldati. Se questi dati li trasformiamo in termini di percentuale, in rapporto col numero di abitanti della nazione belligerante, notiamo che la Serbia è la nazione più colpita con 8% dei suoi abitanti caduti al fronte. Seguono Francia e Impero Ottomano con il 3.5%. L'Italia è al disotto del 2%. A differenza delle Guerre fino ad allora combattute, che si svolgevano nell'arco di una giornata al massimo due o tre, le battaglie sul campo della I prima Guerra Mondiale, avevano una durata anche di intere settimane e a volte mesi, come a Verdum (10 mesi), Somme (5 mesi) Ypres per fare un esempio. Questa Guerra fu quella dei primati, intesa come utilizzo per la prima volta di armi e modalità di combattimento . Furono utilizzati per la prima volta in combattimento; carri armati, l'aviazione su vasta scala, i gas asfissianti, lanciafiamme. Dopo l'iniziale movimento di truppe tedesche, che invasero il Belgio per raggiungere la Francia a Occidente e a Oriente per invadere la Russia, e di truppe austro-ungariche per coprire i suoi confini; cosiddetta Guerra di movimento, col sopraggiungere dell'inverno, alla fine del 1914 debutta la Guerra di posizione (nuova tattica, utilizzata per la prima volta) e nella battaglia sul fiume Aisne abbiamo il primo esempio di Guerra di trincea. Nel solo Fronte occidentale, le trincee, arrivarono ad una estensione immensa; più di 8000 chilometri. L'offensiva, fatta da ripetuti attacchi, alternativamente tra eserciti dell'Intesa e Imperi centrali, trovava insuperabile queste trincee per il fuoco di sbarramento delle mitragliatrici dei difensori e dell'artiglieria. Davanti alle trincee, per ostacolare l'attacco nemico, erano posti degli ostacoli collegati tra loro con filo spinato. Erano impossibili da superare, e per questo che prima di ogni attacco partivano squadre di guastatori con cesoie e dinamite per aprire vachi ai compagni. La combinazione di queste armi rendevano nullo qualsiasi attacco nell'area scoperta, passata alla storia come " terra di nessuno". Questo tipo di tattica, rese la Guerra una carneficina continua e costante per tutta la durata fino all'armistizio nel 1918; alla fine del conflitto si calcolò che 80% dei caduti di tutto il conflitto furono nelle trincee. Su tutti i fronti, compreso quello italiano, nessuno dei due eserciti contrapposti era in grado di sfondare le linee avversarie. Ai soldati non restava che attrezzare i propri rifugi, in modo da evitare le bombe nemiche, ma sopratutto da un nemico più subdolo; le condizioni climatiche. I soldati erano costretti a vivere lunghi mesi all'aperto o in angusti ricoveri, che con le piogge diventavano pantani, e con il bel tempo si soffocava, siccità, piogge, freddo si alternavano nei lunghi mesi di trincea. Alimentazione e condizioni igieniche erano, nel migliore dei casi, pessime oppure, nel peggiore, del tutto inesistenti. L'orrore vissuto in trincea ha pochi eguali nella storia delle guerre di tutti i tempi. La trincea, non era che un fossato scavato nel terreno, profondo poco più di due metri e altrettanto largo che correva lungo tutta l'ampiezza del fronte. Il bombardamento dell'artiglieria preparatoria dell'attacco di fanteria, per rimuovere gli ostacoli rappresentati sopratutto dai reticolati di filo spinato, aveva una lacuna; l'imprecisione. Per la prima volta nella storia ( altro primato della I Guerra Mondiale) l'artiglieria non sparava sugli uomini che aveva davanti ma in modo indiretto, sulle trincee, che non vedevano e che a volte erano distanti chilometri, il risultato fu che, statisticamente, su cento colpi sparati contro una trincea fuori dalla linea visiva, solo due andavano a segno. Il risultato era che, il reticolato a difesa della trincea non veniva scalfito e rimaneva al suo posto intero, il che provocava difficoltà nel'avanzare e peggio ancora i Fanti nella foga dell'attacco vi rimanevano impigliati, non potendo sapere che il reticolato nemico era rimasto quasi intatto. Il conflitto coinvolse quasi tutti gli stati europei, tranne Spagna che si affrettò a dichiarare la sua neutralità, la Grecia e Olanda. L'intervento Americano è altra storia. La Prima Guerra mondiale vene combattuta su quattro fronti principali; fronte occidentale, (Francia) dove i belligeranti principali furono Francia - Inghilterra - Germania; fronte orientale, Germania - Russia; fronte Italo - Austro-ungarico; fronte mediorientale. Si annoverano tra i belligeranti della I Guerra Mondiale, anche nazioni come Cuba e Panama che tra aprile e dicembre del 1917 seguono l'esempio degli USA.

  • Morabito Giovanni, padre ignoto e madre Anna Mesiano. E' nato ad Africo il 24.06.1890 e morto 28.09.1918, ha svolto sevizio militare per l'esercito americano, (evidentemente è un emigrato) e deceduto sui campi di Guerra francesi, probabilmente presso il saliente di Saint-Mihiel, dove nel settembre del 1918 gli americani ottennero la prima grande vittoria sui tedeschi. Egli era inquadrato nella Compagnia G. 147 fanteria con Mat.2418308, era entrato in servizio per l'esercito americano il 6 maggio del 1918 e imbarcato il 22 giugno per raggiungere i campi di battaglia. Risiedeva insieme al fratello Agostino al 381 - 3 Nort Rochester di New York. Viene sepolto nel cimitero Presso ST-Mihel ed esattamente nel cimitero VAU RACINE (oggi cimitero militare francese) di un piccolissimo paesello - conta 500 abitanti attualmente - CHAUVONCOURT, come sepoltura provvisoria, insieme ad altri 449 e con lui 450, caduti americani quel 28 settembre 1918. Dopo la Guerra, vengono trasferiti non lontano presso la cittadina di THIACOURT - REGIE'VILLE (vicino la città di METZ) dopo la costruzione del ST. MIHIEL AMERICAN CEMETEY AND MEMORIAL.
  • Talia Leo Placido, madre Maisano Maddalena, morì ad Africo alle 10,30 del 10 novembre lasciando una madre celibe
  • Favasuli Pietro a Nocera Inferiore il 30 marzo, presso il manicomio Interprovinciale "Vittorio Emanuele II°" di via Monteoliveto
  • Criaco Giuseppe Domenico - madre Lingria Domenica 2006 morì di malattia. Comp. mitragliatori di movimento 907presso la 6^ Compagnia Sanità (Bologna) a Fontaniva alle ore 16,00 del 12 novembre 1918, per broncopolmonite da influenza, all'Ospedaletto da Campo n.0167 (ormai a armistizio appena firmato tra, Italia e Austria) e ivi sepolto nel cimitero comunale.
  • Stilo Francesco Giuseppe - madre Marti Annunziata 21° divis. 20° reg. 10° comp. Matr. 28724 moglie Versaci Anna per gastrointerite e sepolto a Sagrado nel campo sud delle concerie, nuore presso la 28^ Sezione Sanità 10^ Compagnia alle ore 10,00 del 30 luglio 1915.
  • Stillitano Domenico che muore per malattia a Castelfranco Veneto (Villa Veneze) il 24 ottobre 1918 presso la 11^ Compagnia Sanità (Bari).  
  • Sagoleo Bruno e Stelitano Santoro Antonio - madre Versaci Francesca, risultano caduti per l'effetto di gas asfissianti; Muore alle ore 6,00 moglie Palamara Caterina che trovarono una morte atroce sul Monte San Michele, proprio durante il primo attacco chimico degli austro-ungarici il 29 giugno 1916. Alle 4.15 del 29, i reparti austro-ungarici assumono lo schieramento d’attacco, pur sotto il fuoco di disturbo dell’artiglieria italiana. Con la sorpresa, si confida anche nel vento che deve sospingere la miscela letale di cloro e fosgene verso le linee nemiche. Il vento, è infatti propizio tra San Martino e Monte San Michele, le valvole sono regolate ed aperte tra le 5.15 e le 5.30. Il gas esce dalle bombole e, spinto dal vento che spira a due metri al secondo, scivola dalle cime del San Michele verso il “Costone dei Bersaglieri”, si insinua nel “Valloncello di Cima 4”, nella “Trincea Superiore”, lungo il “Camminamento Sterio”, in quel che resta di “Bosco Ferro di Cavallo” , nelle caverne e nei ricoveri .La sorpresa è totale e molti soldati sono colti nel sonno. Le prime ad essere raggiunte, sotto Cima 1 del San Michele, sono le posizioni del 20° reggimento della “Brescia”, tenute dal II battaglione, proprio quelle a cui appartengono i nostri compaesani Stelitano Santoro e Sagoleo Bruno. Gassato, muore anche il comandante del reggimento mag. Giuseppe Corte, si contano almeno 800 uomini uccisi o feriti, in quel primo attacco col gas. Sagoleo Bruno prima sepoltura; Sagrado T. 1250. Stelitano Santoro prima sepoltura; Casello 40 Sdraussina T. 700A 
  • Favasuli Salvatore, (Mat.17370) la cui morte é segnalata come malattia, ma in realtà egli morì carbonizzato nell'incendio dei baraccamenti della trincea a Dolegna, e sepolto a Olegna. 
  • Scriva Giovanni Pietro - madre Modaffari Maria Matr. 11690 muore alle 0,15 è catalogato come infortunio, in realtà egli perì per lo scoppio di una polveriera il 24 ottobre 1918 ( illeggibile il luogo dell'incidente io traduco Segalto a Bonco o Bonca)  
  • Stilo Giuseppe Pietro - madre Favasuli Marianna 20° regg. fant.(Mat.33139) per ferita lacero passante gamba destra, in seguito a scoppio di artiglieria, portato all' 11^ Compagnia medica (Bari, cosi il nome della compagnia) Ospedaletto da Campo n.77, di Versa ivi vi muore alle 0,30 del 23 marzo 1916, sepolto prima al cimitero comunale di Versa, poi tumulato nel Sacrario di Redipuglia;
  • Stilo Domenico Leonardo - madre Marte Francesca, muore alle ore 2,00 92° regg fant. 58 comp. moglie Stilo Francesca  (Mat. 15622) per ferita al petto e all'addome da pallottola shapnel, muore a Pagnano all'Ospedaletto da Campo n. 62 della 9^ Compagnia sanità da Campo (Roma).
  • Talia Salvatore Carmelo - madre Mollica Arcangela Alpini batt. Cervino Matr. 17323 muore alle ore 21,00muore presso l'ospedale chirurgico mobile (Città di Milano) di Quisca dove fu sepolto e successivamente traslato a Redipuglia, per ferita da Shapnel, che lo colpisce al dorso con padisma ( spero di aver letto esattamente) delle radici del plesso lombare.
  • Zappia Giuseppe muore sull'Ambulanza Chirurgica D'armata n.4 presso Canes-Falcade 16 agosto 1916
  • Mollica Pasquale Salvatore - madre Scriva Antonia - data di nascita probabilmente 21.4.1891 (Mat.6486) il certificato di morte, dice semplicemente ferita da proiettile, senza specificare le lesioni che tale proiettile ha cagionato al nostro soldato, indicando però specificatamente l'ora della morte, alle ore 15,00. Anche sul luogo di prima sepoltura il certificato di morte dice poco, e si limita a indicare una generica sepoltura sul campo, si può presumere che sia stato sepolto in un cimitero improvvisato sul Pianoro della Molesina dove Mollica cadde.
  • Marte Antonio Leone - madre Vittoria Lingria 94° regg. fant. 11° comp. Matr.17899 muore alle 15,30 per ferita all'addome in seguito a scoppio di granata, in località Speroni Cemponi alle 15,30 e sepolto a Cara Sangaro
  • Modafferi Carmelo Domenico - madre Gligora Domenica Muore alle ore 15,00 per ferite al braccio destro con frattura e ferita al dorso con paraplegia, presso la sezione Sanità 11^ Divisione e sepolto a Vollerise.
  • Migliorini Raffaele (Mat.17343) genitori ignoti 76 Fant. 1° comp. ammogliato, morto per ferita da arma da fuoco al torace in località Quota 65 Selz, e sepolto a Cove di Selz e successivamente tumulato nel chiostro ossario di Schio.
  • Marte Salvatore 20° reg. fant. muore alle ore 15,00 (Mat.28749) in seguito allo scoppio di una granata, durante un assalto a Castagnerizza ed ivi sepolto.
  • Moio Leo padre Pasquale Antonio madre Caterina Sidari 111° Batt. 6 comp. deceduto i seguito a ferita dovuta allo scoppio di una granata, sulla Cima Serovine (Tonale) alle ore 20,00 e sepolto nel cimitero di Ponte di Legno.
  • Romeo Santoro Giuseppe - madre Romeo Annunziata 40° reg. 6° comp(Mat.5627) fu ucciso dalle schegge di una granata che lo colpì alla testa e al petto, ma non si hanno notizie sul luogo di sepoltura, si può presumere che sia stato sepolto in loco, in un cimitero di fortuna.
  • Romeo Pietro Giuseppe - madre Romeo Annunziata 131° regg. milizia mobile 7° comp. muore alle 11,30 moglie Favasuli francesca, (Mat.498) morto in seguito a ferite multiple al braccio destro, alla schiena e ai lombi, riportate in seguito allo scoppio di una bomba a mano, presso la 6^ Compagnia Sanità, di Sagrado e sepolto al cimitero di Sagrado e successivamente tumulato nel Sacrario di Redipuglia.
  • Sculli Giuseppe Francesco - madre Lucisano Domenica 139° fant.11°comp. moglie 
    Versaci Annunziata (Mat.15414) e sepolto al cimitero del Lago morto sul Carso
  • Maisano Francesco Antonio - madre Criaco Domenica, è l'unico soldato Africese morto nei campi di prigionia ed esattamente a Milowtz in Boemia per edema e ivi sepolto nel cimitero militare, tomba n. 11392  
    Alcuni dei nostri caduti, hanno lasciato, partendo per il fronte mogli e figli al paese: Stelitano (Palamara Caterina) Sculli Giuseppe (Mat.15414) (Versaci Annunziata) Stilo Francesco (Versaci Anna); Stilo Domenico (Stilo Francesca)
  • Morabito Santoro Leone - madre Morabito Annunziata 10° regg. 6 comp. Matr.26118 muore a quota 126 (Carso)
  • Modaffari Paolo Domenico - madre Gligora Domenica 
  • Favasuli Salvatore Francesco - madre Lingria Vittoria 46° reg. art. da campagna
  • Favasuli Pietro Francesco - madre Lingria Vittoria
  • Criaco Antonio Salvatore - madre Romeo Caterina 41° comp. batt. Aosta 4° reg. alpini muore per ferite alla testa, , a quota 652 ed ivi sepolto. Matr.8700, decorato con la medaglia di Bronzo al valor militare Motivazione della decorazione: CRIACO ANTONIO, da Africo (Reggio Calabria), soldato reggimento alpini,n.8700 matricola - In un furioso contrattacco nemico, sotto il micidiale fuoco, incitava i compagni alla resistenza, finchè cadeva colpito mortalmente in fronte: bell’esempio di fermezza e di coraggio.- Monte Vodice, 18 maggio 1917
  • Leo Autolitano Giovanni - madre D'aguì Caterina
  • Favasuli Leone Giuseppe - madre Chirico Vittoria
  • Condemi Leonardo Leone - madre Sagoleo Francesca
  • Mangeruca Vincenzo Giuseppe - madre Stilo Maria
  • Maviglia Domenico Pietro - madre Zavettieri Grazia
  • Scordo Santoro Carmine - madre Versace Caterina
  • Modaffari Salvatore Pasquale - madre Violi Fortunata
  • Sagoleo Bruno Francesco - madre Palamara Maria
  • Stillitano Domenico Giuseppe - madre Stilo Santa
  • Zappia Antonio Rosario - madre Modaffari Maria 
  • Zappia Giuseppe Rosario - madre Modaffari Maria 


luoghi di sepoltura 
SACRARIO REDIPUGLIA


Stelitano Santoro
Luogo di esumazione. Casello 40 Sdraussina T. 700A 
Tomba/Loculo: 35719 
Fila/ Gradone:19
Pagina Registro:249-250 
Progressivo;61001 

Romeo Pietro  
Luogo di esumazione: Sagrado T. 2848
Tomba/Loculo: 32029
Fila/Gradone:17
Pagina Registro: 199-200
Progressivo:57311

Stilo Giuseppe 
Luogo di esumazione: Versa T. 90
Tomba/Loculo: 35767
Fila/Gradone: 20
Pagina Registro: 253-254
Progressivo: 61049

Modaffari Paolo
Luogo di esumazione: Casello 40 Sdraussina T.706 D
Tomba/Loculo: 24774
Fila/Gradone: 13
Pagina Registro:135-136
Progressivo: 50056  

Talia Salvatore
Luogo di esumazione: Quisca 437/CC
Tomba/Loculo: 1473
Pagina Registro:1473
Progressivo: 18993

Sagoleo Bruno
Luogo di esumazione: Sagrado T. 1250
Tomba/Loculo: 32898
Fila/Gradone: 18
Pagina Registro:13-14
Progressivo: 58180 

san_leo_africo.jpgE così, il detto S. Leo nacque nel quinto secolo, a Bova, da genitori onesti e pieni di virtù, che lo educarono nel timore del Signore, onde ancora bambino mostrò i segni della sua santità, rifuggendo i giochi ed i divertimenti infantili, frequentando la Chiesa dall'infanzia, e così, vero imitatore di Basilio, non conobbe altra via se non quella che conduceva alla Chiesa, e quella che portava alla scuola, per apprendere la dottrina. Ancora fanciullo, era assiduo nei digiuni, e spesso con quello che era di più saporito nei suoi cibi ristorava i poveri; assisteva le messe del Sacrificio, nelle quali impiegava il tempo che poteva, ed è straordinario con quale compassione, modestia, silenzio e devozione visitasse le Chiese, non voltando mai il viso dagli altari e dalle immagini. Pregava molto spesso, e , immobile per molte ore, dedicava i giorni e le notti a Dio. Inoltre, aveva caro passare spesso le intere notti insonni, per dedicarsi a Dio e godere dei suoi colloqui. Perciò gli accadde di pensare di entrare nella Religione appena compiuta l'infanzia; dopo che il Padre e la madre lo seppero, ci preoccuparono di dissuaderlo, ma il Santo giovane, sapendo che un discepolo di Cristo deve abbandonare il Padre , la madre e tutto ciò che gli appartiene al mondo per seguire Cristo, ancora giovane negli anni, ma provetto nello spirito, non tenne in conto i blandimenti dei genitori, disse addio al mondo, e fuggendolo, convolò alla Religione di Basilio quando aveva appena raggiunto i dodici anni.
... circa al suo dodicesimo anno, abbandonati i genitori, e la Patria, convolò alla detta religione. C'era a quel tempo un Monastero, in verità un alloggio dei Basiliani nella solitudine dei boschi, allora inaccessibili, vicino alla montagna nei pressi di detta Città, dove ancora esiste una chiesa intitolata alla SS. Annunciazione ( Annunziata), e tra le Celle di detto Monastero si indica, per tradizione, la Celletta di S. Leone, dove, imitando ancora novizio il comportamento e le virtù di S. Basilio, così progrediva nella vita della perfezione, da dare agli anziani esempi che a stento potevano imitare. Tra gli scolari e gli studenti, egli si dedicava agli studi in modo che non si frapponessero alla preghiera e alla mortificazione del corpo. Si dice anche che. durante la notte, uscendo dalla sua cella, pregasse genuflesso nelle acque nella valle vicina, e si flagellasse nudo fino a sanguinare, e poiché spesso facesse questo di notte, gli altri studenti e scolari, dal momento che molte volte non lo trovavano nella sua cella, iniziarono ad investigare e a chiedere con curiosità dove andasse e cosa facesse, e così lo seguirono quando uscì dalla cella, e, seguendolo in segreto, con loro grande ammirazione lo videro nudo nelle acque, mentre si flagellava e pregava lungamente. Così, quando ritornarono dal superiore dell'ospizio, e lettore, egli ordinò loro il silenzio, e che non parlassero a nessuno di questo, né con lui facessero parola. E così, per tutto il tempo del suo noviziato, ma anche molti anni dopo la sua professione, egli si esercitò nell'austerità della vita intrapresa, e nella mortificazione del corpo.
Ma, poiché a quel tempo la famiglia Basiliana non aveva nulla di proprio, o reddito con il quale si potesse sostenere, vivendo una vita povera, tutti i Monaci, imitatori di Paolo Apostolo, si sostentavano con il lavoro delle proprie mani. per cui il nostro Leo, ottenuto il permesso del superiore, come piamente si crede, se ne andò in montagna; e li costruì una fornace per fare la pece, e, abbattendo pini, e mettendoli nella fornace, estraeva la pece, con la quale poi acquistava il pane per il suo sostentamento. Non era molto lontano da detta fornace, nella valle profonda, un lago, nascosto alla vista degli uomini, e non visibile da nessuno, se non da chi scende in quella valle; li Leo discendeva nudo nel lago quasi ogni notte, e genuflesso in quelle gelide acque pregava. Ancora esiste la lapide nel mezzo del luogo dove si genufletteva nascosto dagli uomini, e solo noto a Dio, in quel modo austero e rigido di vivere si esercitò per molti anni.
A quel tempo ci fu in quelle Regioni una terribile carestia e una grandissima povertà e il Santo, compatendo le folle degli affamati, donava loro della pece che faceva, perché vendendola si sfamassero; dalla quale carità attratti, molti accorrevano Per ricevere l'elemosina della pece. Accadde che molti affamati, che non volevano ricevere la pece, temendo di morire per strada prima di venderla, pregavano Leone di provvedere a loro altrimenti, ed è stupefacente ciò che si tramanda, che lo stesso Leone più volte trasformasse la pece in pane per saziare quegli affamati. Poiché l'illustre miracolo fu divulgato, temendo la celebrità del suo nome, egli fuggì dalla montagna, e, perche fosse ignoto al mondo e agli uomini, abbandonò la Calabria, e si trasferì in Trinacria.  
E cosi traversò il mare a Scilla, e si condusse a Messina, dalla quale Città , che era allora emporio di tutta Europa, si allontanò, non trovandovi la desiderata solitudine, e cercando un luogo nascosto agli uomini, affinché potesse colloquiare solo con Dio, infatti la sua conversazione era nei Cieli; e così andò nel villaggio di Rometta, non molto distante da Messina, dove era un lago, e infatti gli era caro immergersi nelle acque per frenare la concupiscenza della carne, e così come lo spirito di Dio di muoveva sopra le acque, così lo Spirito di Leone lo mosse nelle acque per estinguere li la sete della mortificazione del suo corpo, che tuttavia non otteneva, e infatti in lui cresceva sempre, nei giorni, il desiderio di soffrire per la gloria di Cristo, per cui portò continuamente nel suo corpo la croce della mortificazione, sempre progredendo in virtù. Infatti, trovava sempre nuove mortificazioni del suo corpo , infierendo su di se con gli staffi, coprendosi interamente con i cilici e immergendosi in detto lago, e continuando a pregare l'intera notte nudo nel lago, che fino ad ora si vede a Rometta, e viene chiamato la San Leone, e perciò presso detto lago è stata costruita una chiesa in suo onore.
San Leo trascorse molto tempo a Rometta, sempre costante nell'innocenza della sua vita, mirabile, e pari alla penitenza, progredendo di più in più nelle virtù fino alla vecchiaia; le sue virtù, pure non tutte, cesellate, vale la pena descrivere brevemente e compendiosamente, ovvero farne cenno. E quindi.  
Della Umiltà di S. Leone
Primo fondamento di santità, attraverso il quale si conferma la fabbrica celeste è l'umiltà, per la quale si sale in cielo. ...Per cui, qualora la sua virtù fosse pervenuta alle orecchie degli altri, quando da lui accorrevano come ad un oracolo e un santo, immediatamente fuggiva, e agì cosi quando un novizio e studente del Monastero di San Basilio sito a mille passi di distanza dalla Campagna di Africo, che ora è nel territorio di Bovese, immediatamente lo riconobbe - fuggi in montagna - e li esercitò lungamente una vita laboriosa ed umile con quegli uomini che eccellevano nella preparazione della pece, e affinché on si distinguesse la sua virtù dagli altri, da solo costruì la sua fornace privata, che della quale esistono fino ora i resti, e viene chiamata la Fornace di S. Leone, che è al luogo suddetto, dove, durante le notti immergendosi, condusse una vita aspra, ma soave nelle meditazioni per Cristo sofferente; ma non per questo ottenne ciò che voleva, infatti la sua santità quasi sole fulgente, veniva conosciuta con passare del tempo, e particolarmente per miracoli che faceva, non poteva essere nascosta; dopo il miracolo della conversione della pece in pane per rianimare gli affamati, fuggendo la lode, che aborriva, si rifugiò in Sicilia, come abbiamo detto sopra, e li, sconosciuto a tutti, e noto solo a Dio abbracciava la virtù dell'umiltà, come cara Sposa.
Della Mortificazione del Corpo di S. Leone  
Dovunque, S. Leo infieriva sul suo corpo come su un nemico ostilissimo, per mortificare per lo spirito i fatti della carne, ritenendo che concupirla Fosse contro lo Spirito, e lo Spirito contro la carne, come afferma l'Apostolo. Per cui, per crocifiggere la propria carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze, non solo praticava i digiuni, dall'infanzia fino alla vecchiaia, ma quando l'inedia, protratta per molti giorni, il corpo in servitù, mangiava un sacco di erbe di montagna e ghiande, con le quali sopravviveva soltanto, gustando non le delizie, ma le amarezze, non il dolce, ma l'aspro, così che la vita fu un perpetuo digiuno, la qual cosa era certamente sufficiente come mortificazione del corpo, ma tuttavia non era mai sazio di soddisfare il desiderio di soffrire,e, domando il corpo, infieriva su di se con quotidiani flagelli, si tormentava con quotidiani cilici, godeva un sonno brevissimo, giacendo in terra. e cosa dire dell'intenso gelo che sopportava quando s'immergeva nudo nelle fredde acque quasi per intere notti, così che è mirabile, ed è piuttosto da ascrivere ad un miracolo dell'onnipotenza di Dio il fatto che visse a lungo, non indulgendo mai con il corpo, ma piuttosto infierendo sulla carne e affliggendola fino allo sfinimento.
Della Preghiera e del Digiuno di S. Leone  
...S. Leo dedicò tutto il tempo della sua vita alla preghiera; cominciò a pregare dall'infanzia, per cui da bambino, con le ginocchia piegate, la mente elevata sa Dio, dirigeva le sue preghiere a Dio, e preferiva i luoghi per pregare, fuggendo il ritrovo umano,per parlare solo con Dio; e lasciava tutti i Monaci del Monastero, e si nascondeva nei boschi, per dedicarsi al solo Dio, e ascoltare Dio per parlare in solitudine. mentre si esercitava nei lavori manuali dirigeva la mente e il cuore verso Dio, e così pregava continuamente, giorno e notte, concentrato su Dio. E. spesso, così rapito da Dio, rimaneva immobile, saldo nei sensi del corpo; e ciò gli capitava quando, immerso nelle acque gelide, non sentiva il freddo per il fervore della preghiera, e ardente del fuoco dello Spirito Santo vedeva rapirsi fuori di se. Univa il digiuno all'orazione, sapendo dalle parole del Salvatore che non si scaccia il demonio se non per la preghiera e per il digiuno. Poiché aveva dichiarato guerra al diavolo perennemente, per tutta la vita, usava questo genere di armi per vincerlo, e poiché coloro che sono di Cristo crocifiggono la loro carne con i vizi e le concupiscenze sue, sapendo che concupirla è contro lo Spirito, così applicava l digiuno per frenarla. Per cui il suo digiuno era continuo, non solo si asteneva dalla carne, e osservava i digiuni della Chiesa, ma negli altri giorni si mortificava con una rigida astinenza, e quando, fanciullino, era a casa, con il suo cibo rifocillava i poveri. Poi, Monaco in Monastero, aumento il digiuno, così che gli altri che vedevano la sua astinenza si meravigliavano di come egli potesse vivere; nei boschi, dove si nutriva di radici delle erbe, spendeva ciò che ricavava dal lavoro delle mani e dalla vendita della pece non per ristorare il suo corpo, ma per rifocillare i poveri. 
Della Virtù della Castità di S. Leone 
La Castità è veramente dono di Dio; infatti, non abbiamo precetto del Signore su di essa, e coloro che la conservarono sono chiamati Angeli in terra, come fu il nostro Leo, che, dalla fanciullezza fino alla morte, conservò sempre castità e verginità, per custodire la quale fuggiva le donne, e,giovane, per non ascoltare dagli altri giovani le cattive conversazioni che sempre ledono la castità, e corrompono i buoni costumi, si separò da loro e dalla loro compagnia, onde desiderò fin dalla gioventù di entrare nella Religione Basiliana, dove potesse evitare non solo le conversazioni, ma anche l'aspetto delle donne, sapendo che Davide, benché Santo, Profeta e diletto di Dio, e scelto secondo il Suo cuore, fosse stato corrotto dall'aspetto della donna, e i Vecchi, e Giudici del popolo, per l'aspetto di Susanna si infiammarono d'amore.
Anche per questo motivo abbandonò la Patria e scelse la vita monastica per non ledere la castità.
Perciò, fuggendo le folle degli uomini, cercò le caverne del deserto, perché anche un lieve crimine non macchiasse la vita, e rischiasse di perdere la castità anche della mente; così San Leo, Angelo in carne, si serbò immacolato e inviolato per tutto il tempo della sua vita, conducendo in terra una vita angelica, e così tanto piacque a dio la sua anima, che pascola tra i gigli e incede tra i sette cori delle Vergini. Per ottenere e conservare la verginità, il nostro Leo indisse una guerra personale contro la sua carne, così che, mortificato nella mente e nel corpo, egli si trafiggesse sulla Croce di Cristo, e indossasse Cristo, veste nuziale che non tolse mai. 

Della Virtù della Pazienza di San Leone
...In questa eccellente virtù fu eccelso il nostro Leo, la cui intera vita fu un esercizio di pazienza,e attraverso di essa l'anima sua seguì le orme di Cristo ed egli Apostoli, dalla Fanciullezza alla vecchiaia; così, quando, fanciullo, non voleva stare insieme agli altri fanciulli, ed era perseguitato da questi. Studente, sopportava una guerra perenne da parte degli altri colleghi, che non potevano imitare la sua virtù e la sua modestia; ma,oh! che grande pazienza gli occorreva nelle continue fatiche del taglia legna per far pece, nelle quali mai si legge che fosse di fastidio agli altri, ma più tosto spronava glia altri lavoratori alla pazienza, con la parola e con l'esempio, e si tramanda che la sua voce sempre dicesse: sia benedetto il nome di Dio.
Della Carità di S. Leone  
...Il nostro Leo la possedette a livello eccellente, e, amando Dio e il prossimo, rifulse tre gli altri santi. Cominciò ad amare Dio quasi prima che avesse il dono della ragione; infatti, sin dell'infanzia era costantemente occupato nella preghiera e si elevava a Dio. Con l'avanzare dell'età, aumentò la carità di Leone, per la quale egli disprezzò il mondo e le sue ricchezze, e abbandonò la patria, e si rifugiò nella solitudine dei boschi più inaccessibili, per invocare solo Dio,, ed amarlo; e perché Dio parlasse al suo cuore, visse le estasi, rapito nelle sue contemplazioni, così come non (fosse) un uomo del mondo, ma fuori dal mondo; era rapito fuori di se, e così non c'è alcuna meraviglia se si immergeva delle acque gelide per temperare l'ardore della sua carità. Per questo ciò che per gli altri era sofferenza e dolore, e pericolo di vita, per lui era rimedio e refrigerio. (...) ...Così il nostro Leo, mosso dalla carità, compiva miracoli e fuggiva dal consorzio degli uomini poiché aborriva le lodi. e per questo motivo si assentò dal distretto e dai monti della sua Città, e si diresse verso la Trinacria, per dedicarsi, sconosciuto, a Dio solo.
E così Leo mutò luogo, ma non mutò tenore di vita; infatti, ovunque andasse, sempre coerente a se stesso e perseverante in un vita assai austera; giorno dopo giorno faceva sempre maggiori progressi; sapeva, infatti, che la perseveranza è la corona di ogni virtù, e attraverso di essa soltanto si acquisiscono le cose eterne; atterrito dal massimo esempio di molti che avevano quasi raggiunto l'apice della santità e poi erano infelicemente precipitati, il santo cercava di raggiungere la perseveranza, perennemente vigilando, sempre pregando, e la otteneva da Dio; si dice infatti che avesse sempre lo stesso tenore nell'esercizio delle virtù, esercitando sempre incessantemente la mortificazione del corpo, e principalmente immergendosi nudo nelle acque; infatti in Sicilia e nel luogo prima ricordato di Rometta, nel lago che li si trova, crocifiggeva la sua carne. E così, ovunque, eleggeva sempre ad abitazione le acque gelide, per domare il corpo, e ciò fu per lungo tempo, e per i molti anni nei quali abitò a Rometta, fino alla vecchiaia. 
Essendo giunto tuttavia il tempo in cui Dio aveva decretato di coronare i meriti di S. Leone, e portarlo alla gloria celeste, gli rivelò il tempo e il giorno della sua morte. E così, sapendo ciò, S. Leo decise di lasciare la Trinacria e di visitare il suo Monastero, per restituire lo Spirito a Dio dove aveva ricevuto lo spirito da Dio. Così attraversò il mare Siculo, e si diresse verso le coste della Calabria. tuttavia, volle prima visitare i suoi boschi e i luoghi di montagna e il suo antico lago, dove, per alcuni giorni, benché vecchio e di salute debole, rinnovò le prime mortificazioni della carne e le asprezze della sua vita, che mai smise, ma, da buon soldato di Cristo, combatté la sua battaglia fino alla morte, (...).  
Avvicinandosi il giorno, predetto da Cristo, della dissoluzione del proprio corpo e dell'uscita dell'anima dal carcere della sua carne, egli cominciò ad essere abbandonato dalle forze, e così penso di tornare da detti luoghi di montagna al suo antico monastero, e intraprese il cammino, benché privo di forze. Nel mezzo del cammino, quando veniva meno ed era ridotto a non poter proseguire, gli capitò un uomo che portava sulle spalle un fascio di legna di pino per accendere il fuoco ; egli lo pregò di aiutarlo a concludere il restante cammino, ma l'uomo si rifiutò di farlo, adducendo che gli fosse necessario portare quel fascio; rispondendo tuttavia S. Leo, con preghiere, che lasciasse il fascio e che gli fosse d'aiuto in tanta necessità, mosso da misericordia l'uomo lasciò il fascio e mise il santo sulle spalle per trasportarlo, e quando sentì che il suo peso non era che quello di una lieve paglia, compì il resto del cammino contento, e giunse al luogo in sui il suddetto Monastero si distingue con gli occhi, e non distava molto , per cui San Leo, facendo grazia, lo accomiatò, perche tornasse a trasportare il fascio di legna che aveva lasciato, ma ecco il prodiggio: volgendosi dietro egli vide davanti a se il fascio, che per miracolo li aveva seguiti nel cammino; la qual cosa ammirando, l'uomo si inginocchiò ai piedi di Leone, raccomandandogli a lui e offrendosi di condurre a termine il resto della via.
Rifiutò tuttavia il Santo, asserendo di riuscire a completare facilmente il resto del cammino, e così lo accomiatò; e Leo, benché privo di forze, compì il resto del cammino, per giungere al Monastero e li restituire l'anima a Dio. Ma non gli accadde ciò che voleva. Infatti, non gli fu permesso di giungere al Monastero, ma, quando era distante circa cinquanta passi, giacendo sulla strada, per respirare un poco, li rese lo spirito a Dio e volò in Cielo, piegando la testa su una pietra, che si conserva ancora, e i viandanti baciano quella pietra per devozione.
Nel momento in cui il santo spirò, le campane fecero spontaneamente un suono gioioso, sia quelle che erano nel suddetto Monastro, sia quelle che erano nelle Chiese del villaggio di Africo, non molto distanti. Tutti quelli che ascoltavano detto suono erano ammirati, ma ignoravano la sua causa e non sapevano nulla. Accadde che passassero per quel luogo due uomini, che videro un uomo morto, e, non riconoscendolo, riportarono ai Monaci del Monastero il morto, che stava i mezzo alla strada non lontano da esso, per trasportare il cadavere e seppellirlo; la qual cosa udendo, un monaco stese la mano dicendo: qui muoiono tutti i mendicanti e i mal viventi. Detto ciò, immediatamente si seccò la sua destra, e questo fatto stupì sia lo stesso che gli altri monaci, per cui, accorrendo dal morto, lo videro sollevato da terra e, guardandolo con attenzione, capirono che quello era il corpo di S. Leone, benché molto tempo egli fosse stato assente dal Monastero, e la sua santità avevano registrato le campane, che avevano suonato per suoi meriti. Perciò il monaco, che aveva la mano seccata, si raccomandò alle preghiere di quel santo, e rivolse la mano verso il corpo; mirabilmente, subito, toccando il corpo di S. leone, fu perfettamente sanato, e così accadde che tutti i monaci, accorrendo in quel luogo e cantando le lodi, condussero il sacro corpo al Monastero, e lo seppellirono con onori, rendendo grazie a Dio, che il santo illustrava con prodigi e miracoli; infatti tutti gli infermi che accorrevano al suo sepolcro venivano sanati: i ciechi nella vista, gli zoppi nel cammino, i sordi nell'udito, i muti nella parola, e i colpiti da diverse malattie chiedevano salute.Mio commento (Se credi opportuno inseriscilo; mi raccomando correggilo prima) La prima cosa che si può notare, leggendo il Compendium, é, il fatto, che l'anonimo scrittore , non cita alcuna fonte da cui trae le notizie che ci da. Fa, un lungo discorso su San Leo, come se fossero notizie di prima mano, e direttamente accertate dallo scrivente, e in alcuni passaggi testimone oculare dei fatti. I secoli trascorsi dalla morte del Santo, hanno cristallizzato la tradizione orale come certa trai i credenti - ed é ovvio che sia così - i fatti relativi alla sua vita, e l'anonimo non fa eccezione; quanto meno avrebbero consigliato più prudenza nel dare tutto per certo; sopratutto, se si tiene conto che San Leo, trascorse la vita in solitudine. Si può dire che in questo caso, si può applicare il vecchio detto popolare; il popolo esagera ma non inventa. In effetti, in alcune parti, sembra più un trattato di teologia che il racconto della vita di San Leo. La seconda cosa, che si nota, è, che nel raccontare evita accuratamente di menzionare Africo; il luogo in cui S. Leo costruì la sua santità. L'anonimo scrive >. Il sopradetto Monastero era nelle vicinanze del Villaggio di Africo, a poche centinaia di metri. Da Bova, era lontano parecchi chilometri, come altrettanto lontano da Bova - e dallo stesso Convento - é il luogo di penitenza e preghiera di San Leo; il laghetto. La città cui si riferisce l'anonimo redattore del Compendium é naturalmente Bova. Evita di parlare, e di conseguenza di collegare S. Leo ad Africo, scrivendo > sapendo benissimo che il Monastero, è da secoli conosciuto come della SS. Annunziata, e non potendo fare a meno di menzionare Africo, si premura di precisare, che > , evidentemente ritenendo, che, dovesse considerarsi tutto il territorio sotto l'egida di Bova.
Nel capitolo " Della verità della pazienza di S. Leone ", si legge > ,: l'autore del Compendium , non ci dice dove "si legge" quello che afferma per sicuro; perché?. Un racconto con molti si dice, ma non viene mai spiegato, chi lo dice. Lo stesso autore del Compendium?. 
Il Compendium, sul soggiorno di San Leo a Rometta di Sicilia è lacunoso; infatti, ci da l' informazione che il Santo si trasferì in quella località, per motivi pienamente comprensibili; ma non dice a che età il nostro Santo abbandonò l'Aspromonte per recarsi a Rometta, ne quanto tempo vi soggiornò e sopratutto, nulla ci dice di cosa si occupò li: tranne pregare ne dove visse. Possiamo supporre, che abitò in delle grotte che vi sono nei pressi della città, ancora oggi esistenti, e dette grotte saracene. Che andasse a pregare in una chiesa bizantina, tutt'ora esistente, - Chiesa Bizantina di Maria dei Cerei o Candelora - non lontana dalle sopradette grotte. Scrive >. Effettivamente si venera ancora oggi vicino Rometta un santuario di san Leo, ma comunemente si ritiene che si tratti di san Leone da Ravenna detto il Taumaturgo, il celebre Vescovo di Catania il quale, peraltro, si vuole fosse stato, prima, decano dei sacerdoti reggini. Tra il 725 e il 780, trovò asilo scegliendo la città come luogo di esilio. Il suo primo rifugio fu una modesta grotta scavata nella roccia che forma l’acrocoro sul quale siede Rometta; quella grotta esiste ancora ed è chiamata “La Grotta di S.Leone”. Più tardi il Santo cercò riparo altrove e lo trovò a tre miglia da Rometta in una vallata solitaria, posta tra la catena principale dei monti peloritani, nel territorio di Rometta, qui San Leone scavò, con le sole mani, una grotta nella quale alla sua morte (avvenuta il 20 febbraio del 789) scaturì un’acqua miracolosa efficace per le molte guarigioni. Sicuramente è opera di fantasia dell'anonimo redattore del Compendium, quando scrive che in vecchiaia S. Leo tornò in patria, da Rometta, passando prima di andare al suo vecchio Convento, nei luoghi della penitenza giovanile. I luoghi in questione sono impervii per spiriti giovanili; vere forre di montagna, non percorribili facilmente, anche se oggi sono percorsi turistici e molto difficili da percorrere. Possiamo credere, per fede, ma pare difficile che ciò é stato possibile ad un vecchio debole, anche se in odore si santità. Pur volendo accettare , per fede cristiana, la visita come avvenuta, San Leo non ebbe il tempo di raccontarlo a nessuno. Evidentemente l'anonimo esagera e a tratti lavora di fantasia.
Scrive, a proposito del trasporto del corpo di San Leo, dalla tomba originaria nel convento dell'annunziata di Africo, a Bova >. Si fa passare l'idea, che questo, sia un favore concesso agli africesi, nel tentativo di sminuire l'importanza di Africo nella vita di San Leo; la malafede é palese del sopradetto anonimo scrittore. Ricostruire in modo esatto la vita di San Leo, non é facile. la quasi totale mancanza di documentazione, ci impone di affidarci alla tradizione orale e al culto devoto dei suoi concittadini di Africo e Bova, cosa che ha evidentemente fatto anche il nostro anonimo, mettendoci molto del suo. Un punto di partenza "certo", é, come afferma Francesca Tuscano, traduttrice del Compendium, in Storia e vita di S. Leo, Santo d'Aspromonte, la nota contenuta nel Sinassario Lipsiense (R. II 25) scritto da Basilio di Reggio nel 1172, che registrò il "ricordo del santo padre nostro Leo di Africo". Qui entra in gioco il Campanilismo, da entrambe le comunità, bovesi e africesi; forse legittimamente giustificate. Francesca Tuscano, nello stesso scritto ci informa che, l'anonimo scrittore del Compendium >. Io aggiungo "cittadino bovese". L'anonimo canonico della Cattedrale, perché colloca la nascita di San Leo nel V secolo?: Perché vuole escludere dalla vita del santo Africo. Infatti, le prime notizie dell'esistenza di un casale denominato Africo, sono dell'anno 1195 che ci provengono dal diploma, con la quale Arrigo VI Imperatore dei Normanni fece concessione all'Arcivescovo di Reggio della città di Bova e delle terre di Africo col titolo di Conte, in riconoscimento della sua condotta durante la conquista della Sicilia. ( D. Spanò-Bolani, Storia di Reggio, Ediz. Brenner Cosenza 1977, P.279). Sopratutto é ampiamente dimostrato, che, i primi Monaci Basiliani provenienti dall'Oriente, si rifugiano in Calabria solo tra VIII e il IX secolo. Quindi un Monaco Basiliano Leo non poteva esistere nel V secolo. Da parte africese si fa lo stesso. Il reverendo Giovanni Stilo (Don Stilo) nel suo scritto" San Leo, nella storia e nella tradizione popolare di Africo", insiste molto sul fatto che il santo era oriundo di Bova; nel senso che i suoi genitori erano di Bova, ma abitanti all'epoca della nascita in Africo. Scrive > , su questo Don Stilo non sembra avere dubbi,come del resto l'anonimo. Un fatto è incontestabile, che, San Leo visse e operò in Africo e nel suo territorio e divenne Monaco, nel Convento dell'Annunziata. Questi fatti li conferma anche l'anonimo autore del Compenduim, che implicitamente riconosce che San Leo non ebbe alcun rapporto con la città di Bova, infatti non riferisce alcun avvenimento che colleghi il Santo alla presunta città natale; perché non ci furono mai. Al contrario fa di tutto per non collegarlo con Africo. In fine l'anonimo del XVIII secolo ignora del tutto la nota inserita nel Sinassario Lipsense del 1172 di Basilio da Reggio.

Ricerca curata da Andrea Morabito

Fonti bibliografiche:
  • "Storia di San Leo. Santo d'Aspromonte" La Ruffa Editore di Pasquale Faenza e Francesca Tuscano estratto da (quello che riguarda San Leo);
  • Compendio della gloriosa e santissima vita e morte di Santo Leone Cittadino e Patrono di Bova. Anonimo, XVIII secolo;
  • Compendio della gloriosa e santissima vita e morte di Santo Leone Cittadino e Patrono di Bova Anonimo XVIII secolo (estratto).

Il Sorbo di Angelo un frutto dimenticato

Da tempo con il mio amico Angelo Gligora, le rare volte che c’incontriamo parliamo di argomenti riferiti al mondo contadino ormai perduto per sempre, di cui sempre più sbiadiscono persino i ricordi. Nelle ultime volte che ci siamo incontrati abbiamo parlato del mulino ad acqua che era ubicato sulla fiumara tra Africo e Casalnuovo, di cui si servivano ambedue le comunità, gestito dalla famiglia di sua suocera, originaria di Roghudi, transitando su un ponte di legno che scavalcava il torrente. Personalmente ero passato a piedi da bambino su quel ponte in quanto nell'immediato dopoguerra alcune famiglie di Ferruzzano e altre di Bruzzano usavano partire con una teoria di asini piena di prodotti alimentari che dovevano durare una ventina di giorni e raggiungere Santa Maria, una montagna ricadente forse nel comune di Roghudi. Si partiva da Ferruzzano e da Bruzzano la sera e in due ore, a piedi si raggiungeva la contrada Asceti nel comune di Africo, dove nei pressi dell'aia della famiglia Alagna ci si accampava per essere pronti ai primi chiarori dell’aurora a ripartire, facendo i tornanti della mulattiera delle Coste di Barili rasentando il rifugio forestale di Agrame e attraversando la strettissima mulattiera che orlava i precipizi del Passo della Zita, fino al Passo di Ficara dove una scorciatoia ripidissima portava a Casalnuovo e dove tutti i viandanti si fermavano per far riposare gli asini e per rifocillarsi con un pezzo di pane ed un sorso d’acqua. Si ripartiva e arrivati a Furchi per andare a Santa Maria si prendeva a destra la strada in costruzione allora per Casalnuovo, mentre a sinistra si andava per i Campi di Bova. Arrivati a Casalnuovo si continuava passando sul ponte di legno e si continuava per Africo, passando vicino all’asilo e poi vicino al cimitero, dove si svoltava a sinistra e si proseguiva fino alla montagna, attraversando la contrada Carruso. Dopo circa trenta e passa Km a piedi, nel pomeriggio inoltrato si arrivava sfiniti e gli uomini conficcavano in una radura pali di legno su cui velocemente stendevano una tenda per il primo riparo; il giorno seguente per ogni famiglia veniva completata una capanna di felci.

il Quotidiano - Venerdì 19 novembre 2004

NEL WEB ARRIVA AFRICO.NET
di Gianfranco Marino

AFRICO - New entry nel mondo del web; arriva Africo.net. Si chiama Africo.net è sicuramente molto più di un semplice sito internet, è uno straordinario veicolo di conoscenza attraverso il quale si è cercato di rendere fruibili al grande pubblico della rete le mille sfaccettature di un centro, ma soprattutto di una comunità dalla storia lunga, travagliata e spesso controversa. Oltre mezzo secolo di storia racchiuso in un click, oltre mezzo secolo durante il quale la vita di Africo si è divisa fra le bianche e sabbiose coste dello jonio e le impervie vette d'Aspromonte. Storie di esodi e di sciagure, ma anche storie fatte di cultura, di tradizioni, di lotte per una rinascita civile e sociale a lungo rincorsa e per alcuni versi fortunatamente trovata. Tutto questo e anche di più è racchiuso in questa nuova iniziativa voluta e promossa da Salvatore Moio, ideatore e gestore del sito che con il contributo della Pro Loco e di una associazione culturale del luogo ha reso possibile quello che fino a qualche anno addietro era sicuramente impensabile. Abbiamo cercato di dare ad Africo la visività che merita - dice proprio Salvatore Moio - una visibilità che riesca regalare positività, progresso, cultura, ma anche alcune interessanti finestre su sport, turismo, spettacoli, manifestazioni culturali, tutto naturalmente arricchito da qualche trovata fuori dal comune che riesca a caratterizzare l'iniziativa, come ad esempio il dizionario italiano- africese, una nuova chicca ancora a dire il vero in via di completamento, e non ultimo naturalmente un cospicuo spazio dedicato alla foto gallery, un compendio dei migliori scatti per un susseguirsi di emozioni che accompagneranno il vasto pubblico della rete in una lunga carrellata dal 1943 fino ai giorni nostri.

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