
Quanti paesi, quante vite di famiglie e di persone ha segnato l’alluvione del 1951 in gran parte della Calabria. Se ne parla ancora perché rimangono visibili i segni, non solo nei centri colpiti, ma anche e soprattutto nell’animo delle persone rimaste in vita e che ricordano quei giorni di pioggia devastante. Si contarono 67 morti nella Locride: Platì, Careri, Caulonia, Casalnuovo, Africo e tanti altri piansero i loro morti. Gli effetti devastanti portarono inoltre al trasferimento di alcuni paesi distrutti dalla violenza della pioggia (tra questi Natile, Canolo, Africo e Casalnuovo). Tra le tante vicende raccontate, c’è un aspetto da non trascurare, riguarda le migliaia di persone che abitavano fuori dai centri abitati, nelle contrade e nelle campagne, per lo più pastori e contadini.
LA TESTIMONIANZA DI CONCETTA PALAMARA SULL’ALLUVIONE DEL '51 CHE TRAVOLSE AFRICO
Siamo andati a trovare la signora Concetta Palamara, classe 1928, nella sua casa di Africo Nuovo, accompagnati da uno dei suoi figli, Angelo Gligora, docente di lingue in pensione. «La mia famiglia era di Casalnuovo – inizia a raccontare la signora- ma vivevamo a Scrisà, ai piedi del monte Scapparrone, vicino a Motticella. A Casalnuovo non c’erano molti terreni fertili per i lavori di campagna e come tante altre famiglie vivevamo più a valle, nelle campagne».
LA FUGA E L’APPRODO AD AFRICO NUOVO
Ricorda gli stenti, la quotidianità povera ma dignitosa, ricorda l’abitazione composta da due stanze, il forno e una stalla. Anche la famiglia della giovane Concetta, allora ventitreenne, fu sfollata: «Ci portarono a Bova, al Seminario, dove ritrovammo tanti altri compaesani». E a Bova, l’anno dopo si sposò con il giovane Leo Gligora. «Siamo venuti ad abitare nel nuovo paese, Africo Nuovo, nel 1955. Fummo tra i primi ad avere assegnata la casa, alle Baracche Svedesi».
Una casa comoda dove la famiglia che si è arricchita di cinque figli, diventati tutti professionisti, ha potuto condurre un’esistenza migliore e vivere senza le privazioni di un tempo, ma quell’alluvione ha continuato lo stesso a lasciare il segno. La mancanza di lavoro ha indotto il marito di Concetta a prendere la valigia, come hanno dovuto fare tantissimi altri, e ad emigrare in Germania dove ha fatto il ferroviere. «Io e i figli siamo rimasti qua – racconta accora la signora Concetta – solo una volta sono andata in Germania, per poco tempo, poi la vita l’ho trascorsa qui, badando ai figli».
IL RAMMARICO DELLO STUDIO
Sul tavolo del salotto ci sono dei quaderni che la signora riempie ogni giorno con la sua bella calligrafia, li fa vedere e poi torna a raccontare della sua infanzia a Scrisà, le serate trascorse ad ascoltare i racconti dei grandi: «Mi piaceva andare a scuola, dovevo fare un bel pezzo di strada per raggiungere Bruzzano Zeffirio, il maestro era di Caraffa del Bianco, Giuseppe Barletta, diceva che ero portata per lo studio, ma non c’erano le condizioni per proseguire, così ho fatto quello che facevano le altre mie coetanee, badavo alla casa ed in più ho imparato a cucire i vestiti, lo facevo non solo per i miei, ma anche per altri che me lo chiedevano». Non sa rispondere a come sarebbe stata la sua vita senza quell’alluvione, di certo è stata incanalata su un percorso non pensato, imprevedibile. Otto anni fa suo marito è morto, lei viene accudita amorevolmente dai figli e da una badante che non la lasciano mai sola. La storia di Concetta Palamara è simile a quella di tanti suoi paesani, di Africo e di Casalnuovo, alcuni hanno perso di più, altri di meno e salutandoci dice: «Non sempre possiamo disegnare noi il nostro destino».
Articolo e foto tratte interamente dal sito www.quotidianodelsud.it/ del 17 novembre 2025




