Lo scrittore Gioacchino Criaco racconta l’impegno di un gruppo di volontari volto al recupero del vecchio borgo

Ci sono posti che più di altri riescono ad imprimere sensazioni ed emozioni uniche, luoghi i cui silenzi sembrano parlare, raccontare secoli di fatiche e di drammi nascosti tra le pieghe di una storia che molti vorrebbero cancellare. La Calabria è piena di luoghi magici, spesso nascosti dalle asprezze di un territorio tanto affascinante quanto impietoso nella sua durezza. Tra questi luoghi ve ne è uno che in particolare sembra voler ad ogni costo raccontare della storia e della sofferenza della sua gente. Africo è un piccolo centro dell’Aspromonte orientale, da circa sessant’anni trasferito sulla costa in seguito ad un’alluvione che nel 1951 ne decreto lo sgombero.

 

Dopo anni di abbandono ed incuria, segnati dai periodi bui dei sequestri di persona, delle faide, del degrado ambientale galoppante, da qualche mese un gruppo di volontari mossi dall’amore per le proprie radici e per quei luoghi mai dimenticati e quasi scolpiti nel patrimonio genetico, costituitisi in un comitato spontaneo,  hanno dato il la al suggestivo progetto per ripulire e recuperare il vecchio borgo ormai quasi completamente ingoiato insieme alla sua storia, da una rigogliosa macchia mediterranea. L’impegno dei volontari ha subito prodotto risultati, con il fattivo interessamento ed il successivo coinvolgimento delle Istituzioni, dal comune di Africo all’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte, passando per l’ArcheoClub sezione di Polistena. A qualche mese di distanza sono salito ad Africo nella duplice veste di cronista e di appassionato che sin dalle prime uscite non ufficiali ha ritenuto importante affiancare e sposare per quanto di propria competenza l’iniziativa. Più a monte di Africo a circa 940 metri di quota immerso nel verde di querce e castagni secolari c’è Carrà, da queste parti “U Carrùsu” un piccolo agglomerato di case costruite successivamente all’alluvione. Ad attendermi, come capita spesso da qualche mese trovo Gioacchino Criaco, professionista, innamorato della sua terra, con lo stesso amore che si può riservare ad una madre. Scarpe da trekking ai piedi, camicia, blu jeans e sorriso amico che sembra volerti ringraziare anticipatamente della tua presenza sui luoghi teatro di tante fatiche. Dopo il solito saluto affettuoso e il solito caffè ci avviamo rigorosamente a piedi verso il vecchio centro, circa mezz’ora di cammino con un percorso che si snoda sotto una fitta vegetazione scendendo fino a quota 670.  Lungo il tragitto a parlare è solo Gioacchino, io mi limito ad ascoltare affascinato il racconto di un uomo completamento assorto nella sua storia, quella comune a tanta gente di Africo. “Per  parlare di Africo – dice  - non si può fare a meno di partire da lì. Da quella tenda  bianca, piazzata proprio dove ci troviamo adesso. Da quello spilungone che va avanti e indietro nella notte, senza riuscire a prendere sonno, sopraffatto dal dolore e dalla miseria che lo circonda. Dallo sguardo di Umberto Zanotti Bianco, che dedica un’occhiata e un augurio, dai Campi di Bova, ad Africo prima di andar via. “Che un giorno quel popolo sofferente possa riprendere il suo cammino, sbarrato tante volte dalla natura e dall’uomo”. Zanotti Bianco – prosegue  - ha condiviso con Africo un’altra guerra, e la natura gli regalò nell’ottobre del 51 un’alluvione. Il borgo antico sepolto dal fango e dai rovi. Il suo popolo portato lontano, verso un mare sconosciuto e pauroso. Africo diviene un paese senza terra, un’enclave in territorio altrui. I suoi figli convertiti in braccia per la ricchezza altrui. Ogni paese ha diritto alla sua storia, illustre o piccola che sia”. Si legge una palpabile amarezza nelle parole di Criaco. “ Analizzare gli eventi – prosegue - che hanno operato un taglio netto tra gli Africoti e il loro passato sarebbe impresa lunga e ardua. Molti – dice col sorriso sulle labbra Gioacchino – ci chiedono chi ce lo fa fare. Mi piace rispondere sottolineando che oggi la gente di Africo riprende il cammino da dove si era interrotto 59 anni fa. Da quell’ottobre maledetto, di fango e tempesta. I suoi figli sono tornati. Hanno divelto rovi e fango, cercano un tesoro molto importante, ritrovare se stessi. Vogliono sapere chi sono stati, per aver coscienza di chi sono. Come nei traumi infantili, che non si possono rimuovere se non si affrontano. Senza chiedere niente a nessuno, lavoriamo da mesi. Fra un po’ sarà ottobre. Vogliamo arrivarci con una sfida, con i vicoli del paese liberi dal fango. Non è un’impresa epocale questa, non è destinata a passare per libri di storia, è solo un piccolo segnale che, se incoraggiato, potrà essere seguito dagli altri. Africo, l’Aspromonte, la Calabria hanno tutti in fondo la necessità di ritrovarsi, per ripartire. Hanno bisogno di fare e non di chiedere. Domenico, Pasquale, Leo, i ragazzi del comitato Apòscipo, della Pro Loco, della Santu Leu Apricus, soprattutto gli uomini dell’Azienda Forestale Regionale, stanno spendendo tempo, denaro, fatica. Ma la gioia che leggono nei volti degli anziani, che finalmente possono sedersi nella loro vecchia piazza ripulita, li ripaga e ci ripaga davvero di tutto”. Gianfranco Marino